Domenica
02
Marzo 2025
VIII domenica del Tempo
Ordinario – Anno C
IV settimana del salterio
Luca 6,41
Perché guardi
la pagliuzza
che è nell’occhio del tuo fratello?
san Troadio
santa Angela della Croce

Ascolto

Siracide 27,5-8

Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.
I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore.
Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.

dal Salmo 91

È bello rendere grazie al Signore.

È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte.

Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi,

per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità.

1 Corinzi 15,54-58

Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: «La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?».
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!
Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Luca 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Medito

Hanno fatto breccia in molti cuori le parole di papa Francesco «Chi sono io per giudicare?» in risposta a una domanda fattagli da un giornalista durante un viaggio di ritorno dal Brasile dieci anni fa, in merito a situazioni che “scandalizzano” i benpensanti. «Chi sono io per giudicare?» è un concetto che il papa ha ripreso alcuni anni dopo aprendo il Sinodo della famiglia: «L’umiltà evangelica porta a non puntare il dito contro gli altri per giudicarli, ma a tendere loro la mano per rialzarli, senza mai sentirsi superiori».  

«Chi sono io per giudicare?» ci aiuta a capire la portata dirompente del Vangelo di oggi, che mette a nudo quello che è forse il peccato per eccellenza: pensarsi Dio e, in forza di questo, ritenersi in diritto di giudicare gli altri, cercare la pagliuzza nel loro occhio senza pensare alla trave che ci rende ciechi, sentirsi in diritto di parlare in termini di «noi cristiani» e «gli altri», di etichettare e discriminare. Lo stesso Paolo si ribella a questo atteggiamento di perbenismo integralista e rilancia il grido dei profeti Isaia e Osea: «Dov’è, morte, la tua vittoria? Dov’è il tuo pungiglione?». L’immagine che adotta è efficace: la legge, intesa come insieme di regole che ci rassicurano e che giustificano la nostra attitudine ad avere uno sguardo giudicante sugli altri, è come il pungiglione di uno scorpione, uccide le relazioni, rende vuoti, morti. Quello che ci viene chiesto è di darci da fare, sapendo che la nostra fatica non è vana nel Signore, e di essere uomini e donne buoni, che sanno tirare fuori il bene dal buon tesoro del loro cuore. Questo parte dalla consapevolezza che ognuno di noi è limitato e non ha motivo di considerarsi al di sopra degli altri. 

Riprendendo il suggerimento che ci viene dalla prima lettura, l’invito concreto che ci viene dalle letture di oggi è di essere più attenti a come usiamo le nostre parole, attraverso le quali riveliamo quello che siamo e quelli che sono i nostri sentimenti più profondi. Come con la parola possiamo essere feroci nel giudizio degli altri, così con la parola possiamo invece esprimerci con trasparenza, senza paura di svelare i nostri limiti, possiamo conversare in modo profondo. Sta a noi scegliere se sprecarla in inutile chiacchiericcio o se utilizzarla come strumento di relazioni autentiche, basate non sul giudizio ma sull’incontro e il riconoscimento dell’altro. Ricordandoci che, nel dubbio, è sempre meglio il silenzio.

 Francesca Benciolini e Agostino Cortesi