Le parole della liturgia | Giugno 2025

Sequenza di Pentecoste

Il giorno di Pentecoste, la Liturgia ci propone la sequenza allo Spirito Santo da cantare dopo la seconda lettura. È chiamata “aurea” per la ricchezza del suo pensiero, la bellezza del suo linguaggio e la grande devozione che sprigiona. Composta fra il 1150 e il 1250, è stata attribuita a Stefano di Langhton, arcivescovo di Canterbury.
La sequenza è suddivisibile in cinque parti, formate di due strofe di tre versetti ciascuna. La prima parte inizia con l’invocazione allo Spirito, quasi con un insistente invito, contrassegnato dalla quadruplice ripetizione del “veni”: «Veni, Sancte Spíritus, et emítte cælitus lucis tuæ rádium». Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Il secondo passo ci fa sentire la grandezza del dono dello Spirito e dello Spirito come dono. Consolatore, ristoro, rifugio, refrigerio: «Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto». Lo Spirito è il Paraclito, che in latino viene tradotto con consolator, ma in greco il termine parákletos vuol dire non solo consolatore, ma anche intercessore, avvocato, suggeritore, accompagnatore. È un termine intraducibile: è come un diamante che ha molte facce. La terza parte della sequenza riflette sulla realtà dell’uomo spirituale: «Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa». La quarta parte prega lo Spirito perché la Chiesa sia capace di essere purificata, irrigata, guarita, duttile, elastica, piena di calore: «Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato». Infine la conclusione che indica il futuro della speranza. Lo Spirito viene per dare: «Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna». Dona morte santa: in latino è salútis éxitum: dà compimento al nostro cammino di salvezza con la gioia eterna, perénne gáudium. 

Elide Siviero